di Giuseppe Marzo
Un po’ di tempo fa – ero ancora uno studente – sentii un professore definire l’ammortamento come “un orso fatto a pezzi e messo nel freezer”. Oltre alla mancanza di sensibilità per gli orsi, la definizione metteva in evidenza anche un’altra cosa: che la comprensione e la determinazione dell’ammortamento sono più complessi di quanto potrebbe sembrare.
La quota di ammortamento è una quantità congetturata. Ma si tratta di un tipo di congettura che non ha niente a che fare, ad esempio, con la congettura di Poincaré o con quella di Riemann. In matematica, infatti, la congettura è una proposizione che si presume vera perché si è riusciti a dimostrarne la veridicità in alcuni casi e non si è mai riusciti a dimostrarne la falsità in nessuno. La congettura matematica ha un grado di verità che è del tutto sconosciuta all’ammortamento: che la quota di ammortamento sia vera non è dato di sapere!
Al più può dedursi che la determinazione dell’ammortamento sia manifestamente errato di fronte al caso di beni completamente ammortizzati eppure perfettamente funzionanti. Si tratta di un paradosso contabile che è meno infrequente di quanto si possa pensare e che dovrebbe indurre a rivedere le politiche dell’ammortamento. Il rischio, altrimenti, è di generare veri e propri zombie contabili, ovvero beni completamente ammortizzati (e quindi contabilmente finiti!) che però continuano a produrre.
L’unica cosa che si può affermare è che l’ammortamento dovrebbe essere il risultato di un ragionamento economico basato su un sistema di ipotesi fondate e capace di “tradurre” le condizioni operative aziendali nel criterio di ammortamento adottato e nella conseguente valutazione.
L’aspetto interessante è tuttavia che pur essendo una pura (ma non semplice!) congettura, l’ammortamento gioca un ruolo fondamentale nel sistema delle decisioni di impresa: è il frutto – come detto – di un ragionamento economico su cui altri ragionamenti economici si basano.
Da ciò deriva che i contabili –e in generale coloro che determinano le valutazioni di bilancio– generano la realtà economica di riferimento per le decisioni aziendali e perciò dovrebbero essere quantomeno consapevoli delle ripercussioni che le valutazioni assunte hanno sulla vita dell’impresa.
E invece l’impressione è che ciò non sempre accada; che si scelga spesso il criterio delle quote costanti per tradizione (“… si è sempre fatto così…”), paura (“…non sia mai di dover metter mano all’ammortamento…”), fraintendimento (“… ma i coefficienti ministeriali…”), inedia (“… troppo faticoso sarebbe dover modificare i criteri attualmente in uso…”), limitatezza (“… ma si può fare in modo diverso?”); ma (quasi) mai perché è l’alternativa che meglio rispecchia l’operatività dell’impresa; qui pro quo (.. devo usare l’ammortamento della contabilità generale anche per l’analitica…”).
E infatti capita sovente che molte imprese considerino quello delle quote costanti il criterio per l’ammortamento e non solo uno dei possibili, e magari più vicini alle condizioni di operatività aziendali, con quote non solo costanti ma anche variabili (quello a quote crescenti escluso dall’OIC 16 per motivi di prudenza). Addirittura lo IAS 16 propone anche il cosiddetto units of production method, in base al quale la quota di ammortamento periodale può determinarsi in misura proporzionale alla produzione realizzata rispetto a quella totale producibile dal bene.
Quindi il criterio delle quote costanti non solo non è l’unico possibile per la redazione del bilancio; ma a maggior ragione non dovrebbe esserlo quando si tratti di determinare quel valore per finalità interne all’impresa.
Per comprendere come il diverso criterio di ammortamento possa incidere in modo rilevante sulle decisioni aziendali si pensi al fatto che l’adozione del criterio di ammortamento a quote costanti genera la convinzione che la quota di ammortamento sia un costo fisso per l’impresa, un costo di periodo senza alcun legame con la produzione effettivamente realizzata. Di converso l’adozione del criterio basato sulle unità di produzione “renderebbe” l’ammortamento un costo sostanzialmente variabile. E ciò ovviamente metterebbe in crisi radicate e cristallizzate liturgie celebrate dai sostenitori del criterio delle quote costanti.
Ecco quattro esempi che evidenziano come il diverso modo di determinare l’ammortamento possa condurre a diversi risultati decisionali.
Un paper che si occupa del tema dell’ammortamento in contesti di lean manuacturing (disponibile qui) evidenzia, attraverso un modello di simulazione, l’effetto che l’ammortamento basato sulle unità di produzione produce rispetto a quello a quote costanti sulla performance dell’impresa. In generale l’ammortamento a quote costanti deprime maggiormente i principali indicatori di performance aziendale (ROI, ROS e ROE) in periodi di riduzione delle vendite ed evidenzia una performance maggiore nei periodi di crescita, rispetto al criterio basato sulle unità di produzione. Inoltre, all’interno di varie possibili situazioni, la performance si presenta maggiormente variabile nel corso del tempo.
Cosa accade se un manager guarda all’ammortamento come un costo fisso che si sostiene indipendentemente dal produrre e dal vendere?
Un po’ di tempo fa mi è capitato di ascoltare un dirigente riflettere in merito alla opportunità di dover saturare gli impianti per poter avere dei costi unitari “accettabili”. Nella sua analisi il costo dell’ammortamento giocava un ruolo essenziale: non solo per l’ammontare elevato rispetto agli altri costi; ma soprattutto perché considerando l’ammortamento costante (o per dirlo in modo diverso: indipendente dalle quantità prodotte) la massima saturazione era l’unico modo per ridurre l’impatto di quel costo. Chiaramente era chiaro che la produzione di per sè non basta, che occorre anche vendere. Ma se l’obiettivo fondamentale è quello di saturare gli impianti, il rischio è che si accetti di vendere ad un prezzo non ottimale.
In un altro caso il tema dell’ammortamento a quote costanti era del tutto inappropriato rispetto al nuovo sistema di lean manufacturing implementato dall’impresa. I principi lean vorrebbero che la produzione fosse condizionata alla vendite: se vendo produco; se non vendo fermo la produzione (nei limiti del possibile, ovviamente). Tuttavia continuare a calcolare l’ammortamento (e questo è ciò che accade con il criterio delle quote costanti) per un impianto fermo è il modo migliore per generare sintomi di schizofrenia decisionale acuta: da un lato dovrei scegliere di non produrre poiché non ho ordini da soddisfare; dall’altro so che se non produco l’ammortamento continua a correre, e allora tanto vale che produca per abbassare il costo del prodotto; altrimenti l’unico pezzo realizzato avrà un costo pari all’intero ammortamento.
Il punto di pareggio è spesso calcolato per soddisfare, come noto, varie necessità aziendali. Nella sua formulazione più semplice (e, occorre dirlo: meno verosimile) esso si determina dividendo il totale dei costi fissi per il margine di contribuzione unitario (quest’ultimo pari alla differenza tra il prezzo medio di vendita e il costo variabile unitario).
Ma cosa accade con l’ammortamento? Come detto, l’ammortamento è un costo fisso quando si adotti il criterio delle quote costanti e un costo variabile quando si adotti, ad esempio, il criterio delle unità di produzione. Nel primo caso esso farà parte del numeratore (in quanto costo fisso di periodo) e nel secondo del denominatore (in quanto costo variabile unitario). Perciò a criterio di ammortamento diverso corrisponderà un punto di pareggio diverso e decisioni conseguentemente differenti.
Come già detto in un altro post, il tema del prezzo è tra i più rilevanti nell'ambito delle decisioni aziendali. La determinazione del prezzo trova generalmente un livello minimo nel costo di produzione dell’impresa. Perciò l’inclusione di un quota fissa di ammortamento nel costo di produzione può generare effetti controproducenti e paradossali rispetto invece alla considerazione di un ammortamento basato sul criterio delle unità di produzione.
Per capire come ciò possa accadere, riferiamoci per semplicità al ciclo di vita di un prodotto, che evidenzia l’evoluzione delle vendite di un prodotto nel corso del tempo attraverso quattro fasi: introduzione, sviluppo, maturità e declino. Tipicamente nella fase di introduzione il volume delle vendite è modesto; tenderà a crescere durante lo sviluppo per poi assestarsi nella fase di maturità. Immaginiamo ora l’effetto dell’ammortamento a quote costanti durante la fase di introduzione. Nei primi tempi il costo unitario di produzione sarà comparativamente più alto rispetto ai periodi successivi semplicemente perché la stessa quota di ammortamento verrà ripartita su un numero inferiore di unità prodotte e vendute; con il risultato che il prezzo, se fissato con un mark up a partire dal costo, potrà risultare troppo alto e comunque spropositato, e quindi ostacolare la vendita del prodotto. Viceversa il costo unitario diminuirà nella fase di maturità. Ma in nessun caso le differenze di costo si posso ascrivere a maggior o minor efficienza aziendale: in entrambi i casi tutto dipende dalla convenzione impiegata per la definizione della quota di ammortamento. Si potrebbero così generare varie situazioni. Ad esempio, l’impresa potrebbe trovarsi con prodotti difficili da vendere a causa del prezzo troppo alto nella fase iniziale del loro ciclo di vita. Potrebbe perciò decidere di venderli sottocosto (apparentemente sotto costo: si ricordi che il prezzo deriva dall’assunzione relativa all’ammortamento) e comunque derivarne l’idea che il prodotto non sia conveniente. Paradossalmente potrebbe decidere di ridurre al minimo il costo per incrementare le quantità vendite al fine di coprire i costi fissi (in questi incluso l’ammortamento).
Ritiriamo fuori l’orso dal freezer: non ha nulla a che fare con l’ammortamento. Ma al contempo facciamo in modo di non essere noi quelli che finiscono a pezzi nel freezer: prima di determinare l’ammortamento riflettiamo se il criterio individuato sia capace di tradurre in quel valore le modalità operative aziendali e valutiamo con attenzione gli effetti sulle decisioni aziendali.