di Giuseppe Marzo
Intorno alla testiera QWERTY – quella dei nostri PC, smartphone e cellulari e prima ancora delle macchine da scrivere – fiorì un po’ di anni fa una convinzione, poi rivelatasi non del tutto corretta: che la disposizione delle lettere, ideata per evitare malfunzionamenti nelle prime macchine da scrivere, persistesse a dispetto della sua inefficienza. Secondo lo storico dell’economia Paul David la disposizione delle lettere sulla tastiera serviva a rendere meno… efficiente la battuta. In tal modo il martelletto che aveva appena impresso una lettera aveva il tempo di rientrare prima che la battuta di un’altra lettera azionasse un altro martelletto.
Malgrado l’evoluzione della tecnologia e la proposta di tastiere alternative, la tastiera QWERTY era comunque rimasta lo standard di mercato. La ricostruzione storica di David trae dallo sviluppo della QWERTY la conclusione che soluzioni poco efficienti una volta adottate permangono per una sorta di forza di inerzia. E ciò fa sì che ci si trovi incatenati a decisioni e scelte passate anche in presenza di alternative migliori.
Sebbene la ricostruzione e le congetture di David in merito alla sopravvivenza dello standard inefficiente siano state – almeno in parte – confutate nel corso del tempo, la tastiera QWERTY può ancora ritenersi il simbolo della forza inerziale delle scelte passate.
Ebbene, la vita delle persone e delle aziende è costellata da decisioni QWERTY, situazioni in cui le decisioni prese nel passato continuano ad esercitare una forza di attrazione notevole nei confronti del presente e del futuro, tanto che diventa assai difficile allontanarsi da ciò che era stato deciso ed era parso funzionare così bene. A dispetto dei possibili vantaggi derivanti dal cambiamento, sono più spesso i costi del cambiamento a far sentire la propria voce.
Un dirigente di un’impresa meccanica emiliana mi ha raccontato la situazione che sta vivendo la sua azienda. Si tratta di un tipico caso QWERTY.
Nel corso degli ultimi anni l’azienda ha sperimentato (e la cosa è accaduta in molti altri settori) un profondo cambiamento nella domanda, che non solo è diventata meno prevedibile ma anche molto più varia in termini strutturali: ordini sempre più frequenti ma di dimensione inferiore. Dopo un po’ di tempo passato ad aspettare che le cose tornassero come prima, si era fatta evidente la necessità di prendere una decisione che in qualche modo potesse far fronte alla nuova situazione.
La soluzione ideale sembrava essere la profonda revisione del sistema produttivo e l’implementazione di un sistema di lean manufacturing. Tuttavia uno dei soci, responsabile della produzione, si era opposto fermamente. Per decenni aveva condotto la produzione secondo determinati criteri, e il nuovo approccio produttivo non si sarebbe intonato alle idee che aveva coltivato per tanti anni e che erano ormai parte fondamentale della sua cultura. Inoltre non se la sentiva di cambiare un sistema di lavoro che l’azienda adottava da tanti anni e al quale le persone si erano “abituate”. La soluzione adottata – ovviamente da lui stesso proposta – era proprio ciò che serviva per mantenere intatto il sistema produttivo e confermare ulteriormente la bontà delle decisioni prese nel passato: l’azienda costruì un nuovo magazzino per ospitare i maggiori volumi di produzione necessari a soddisfare la variabilità e la maggior frequenza della domanda. Come già era accaduto nel passato, “fare magazzino” avrebbe consentito di poter rispondere più velocemente alle richieste dei clienti.
Ora si potrà discutere se la soluzione scartata fosse effettivamente migliore di quella attuata o se invece quest’ultima era da preferire indipendentemente dalle motivazioni prospettate dal responsabile della produzione.
In ogni caso l’aspetto interessante della storia è la forza con cui le decisioni prese nel passato spingono ad assumere decisioni non troppo diverse e anzi sufficientemente simili. E ciò può rendere difficile migliorare quando farlo richiede di cambiare.