di Giuseppe Marzo
Segno questo che il tema è uno di quelli di cui si parla e si scrive tanto. Ma, e questo è il punto, si pratica anche nel modo corretto?
Nella maggior parte dei casi (siamo ottimisti, per favore!) probabilmente si. Tuttavia capita sempre di sentirsi chiedere “… un foglio elettronico già pronto per fare il business plan...”, sintomo questo che si scambia uno dei pezzi che compongono il business plan (le previsioni e le valutazioni economico-finanziarie) con il tutto. E segno anche che talvolta per elaborare il business plan si parte dalla fine: le analisi economico-finanziarie.
Uno dei principali errori che abbiamo incontrato è quello di pensare al business plan come un insieme (o sistema, nel caso di interlocutori più raffinati) di numeri. Questo accade, forse, perché i numeri ti danno quel senso di oggettività e di rigore che quando si tratta di aver a che fare con il futuro si traduce in un senso di sicurezza di fiducia.
O probabilmente, ciò dipende dal fatto che parlare di formule, algoritmi, numeri, riclassificazioni, tabelle, è molto più semplice e facile che indicare come identificare un business model, come fare l’analisi dei clienti e dei concorrenti, come impostare la strategia dell’impresa. È infatti molto più semplice discutere di come si possa costruire un piano reddituale integrato con il finanziario, piuttosto che spiegare come realizzare una strategia di successo!
E però, a ben vedere, è proprio questo il punto di partenza del business plan. E questo significa innanzitutto riflettere su business model e strategia. Per far questo l’unico software necessario è … la testa di chi ha pensato e deve realizzare l’idea. Ovviamente alcuni schemi di analisi e riflessione possono aiutare a comprendere quali elementi considerare, quali relazioni tra i vari elementi sono critiche e quali sono in grado di dare forza e sostanza all’idea. Niente, almeno per la nostra esperienza, è però in grado di garantire il funzionamento di idee che non funzionano.
È però possibile che idee fantastiche vengano vanificate da un cattivo piano di azione. Anche questo elemento è uno dei passi fondamentali per realizzare un business plan. Chiaramente il piano d’azione non corrisponde alle azioni. Esso è solo una rappresentazione delle possibili azioni in grado di rendere effettivo un business plan. E con questo vogliamo dire che fare un business plan solo per ottenere nuovi prestiti e poi lasciarlo “nel cassetto” non produce se non risultati passeggeri.
La terza cosa da fare per rendere efficace un business plan, è ribilanciare il ruolo dell’analisi economico-finanziaria rispetto a quella strategica e organizzativa. Il tempo maggiore dovrebbe essere dedicato non tanto alla realizzazione del modello economico-finanziario, ma all’elaborazione, verifica e validazione del modello strategico. Le condizioni in grado di garantire il successo strategico-competitivo si tradurranno anche in valori economico-finanziari. Ma se quelle non sono correttamente individuate e analizzate il successo dell’impresa sarà sempre e solo un successo di carta.
Un ultimo aspetto che reputiamo interessante (e che in molti casi appare poco approfondito) è il tema dell’incertezza e del rischio che può derivarne all’impresa. Valutare opzioni di scelta alternative, i fondamentali driver del valore della strategia elaborata e la sensibilità che i risultati del piano hanno rispetto ad alcune fondamentali variabili è un modo per valutare il grado di rischio del progetto e visualizzare possibili soluzioni. In questo modo il business plan può presentarsi come guida per la gestione di impresa.
Facciamo un esempio per chiarire il tema. Consideriamo il caso di una torrefazione di caffè che serve gli esercizi commerciali. Il successo di tale torrefazione, oggi più che mai, non dipende solo dalla qualità del caffè. Sono altri gli elementi fondamentali. Molti esercizi commerciali scelgono la torrefazione di caffè in funzione della “dose” di servizi e prodotti complementari associati al prodotto principale. Tra questi rientrano la fornitura di tazzine e piattini, di tovagliolini e altro materiale, dell’insegna del locale, e in alcuni casi della macchina per il caffè, sovente concessa dalla torrefazione in comodato d’uso gratuito. Ne deriva che il successo della torrefazione dipenda più dalla capacità di organizzare l’offerta di servizi apparentemente accessori che non dalla qualità del prodotto per il quale vorrebbe essere conosciuta. E anche con riferimento a quest’ultimo tema: è noto che il caffè non è “buono” di per se, ma per il modo con cui esso è preparato (occorrono una certa temperatura dell’acqua, il giusto tempo di infusione, la giusta pressione della polvere messa nel dosatore, la manutenzione svolta ciclicamente e nel modo corretto). Questo tema è rilevante se solo si considera che per aprire un nuovo bar si devono superare barriere all’ingresso tanto basse che capita che talvolta i nuovi gestori non conoscano le tecniche di preparazione del caffè. Perciò una torrefazione che voglia espandere la sua clientela deve dotarsi anche di una scuola di formazione in grado di sostenere la crescita della nuova clientela acquisita, consentendo così la crescita anche della torrefazione. E questo richiede che si doti di un’organizzazione, oltre che di attrezzature, adeguate.