di Giuseppe Marzo e Elena Scarpino
pubblicato in Controllo di Gestione, n. 6, 2021, pp. 14-26
Le decisioni di prezzo sono tra le più difficili da prendere: prezzi troppo bassi possono impedire all’impresa di acquisire ricavi e redditi adeguati, mentre prezzi troppo alti possono far uscire l’impresa dal mercato.A fronte della complessità di tale decisione, abbiamo conosciuto aziende in cui le decisioni sul prezzo erano basate su convinzioni e schemi tramandati nel corso del tempo e mai adeguati alla nuova realtà aziendale e del mercato; e ci siamo imbattuti spesso in imprese in cui le decisioni di prezzo erano svincolate dalla strategia competitiva messa in atto.
Il 54 % delle imprese europee fissa il prezzo dei propri prodotti o servizi aggiungendo al costo di produzione un mark-up . Fissare i prezzi di vendita sulla base dei propri costi sembra il metodo più oggettivo e corretto, anche se nasconde varie insidie.
Molte imprese ritengono che il prezzo basato sul costo di produzione rappresenti la scelta migliore. Innanzitutto, sostengono che un prezzo capace di coprire i costi di produzione determina automaticamente prodotti profittevoli. Inoltre, un prezzo basato sui costi è un dato comprensibile e condivisibile sia all’interno dell’organizzazione che dai clienti, specie industriali. Alcuni manager ci hanno confermato che un prezzo basato sui costi aziendali è più facile da comunicare poiché è sempre possibile dimostrare che esso dipenda da “fatti reali”, dal consumo di risorse che l’impresa sostiene per realizzare i beni che vende. Perciò, essi sostengono che il prezzo basato sul costo è più facile da far capire al cliente. In alcuni casi, c’è chi sostiene che questo metodo è anche equo, poiché remunera i costi e lascia un margine adeguato al venditore.
Si tratta di posizioni che sono in parte condivisibili, ma nascondono al loro interno alcune insidie che dovrebbero essere opportunamente svelate.
La prima è che un prezzo basato sui costi non è necessariamente più oggettivo di altri. Una quota dei costi di produzione è infatti attribuita ai prodotti sulla base di criteri di riparto che sovente rispondono ad esigenze di semplificazione e perciò non si basano in modo adeguato e accurato sulle relazioni che legano i prodotti ai fattori produttivi. Quanto più è elevata tale quota, tanto meno è “oggettivo” il costo e il prezzo di vendita.
Inoltre, il margine da aggiungere al costo per determinare il prezzo sembra spesso il risultato di arti divinatorie più che la rappresentazione di fatti oggettivi. In alcune aziende, non solo i metodi seguiti per il calcolo dei costi, ma anche quelli impiegati per la determinazione del margine e quindi del prezzo sono eredità di passati anche molto lontani, addirittura di tempi in cui alcuni dei prodotti dell’impresa non esistevano.
In secondo luogo, il prezzo basato sul costo potrebbe essere controproducente in vari casi. I costi di produzione da cui partire risentono infatti dei livelli di efficienza operativi dell’impresa. Imprese poco efficienti, perciò, fissano prezzi di vendita che, incorporando tali inefficienze, sono più elevati rispetto ai prezzi di prodotti simili di imprese concorrenti più efficienti. Il rischio che l’impresa corre, in questo caso, è di perdere vendite, con lo svilupparsi di circuiti viziosi capaci di condurre l’impresa a registrare perdite rilevanti.
In questo articolo sosteniamo che le decisioni di prezzo non possono basarsi sulla sola considerazione dei costi.
Esse devono partire da un modello che considera il prezzo al centro di un triangolo i cui vertici sono rappresentati dai costi di produzione, dal valore percepito dal cliente e dall’azione dei concorrenti.
La distanza tra il valore percepito dal cliente e i costi di produzione rappresenta lo spazio di contrattazione e definisce il prezzo al di sotto del quale il venditore non ha convenienza a vendere, perché non in grado di coprire i costi di produzione e quello al di sopra del quale il cliente non ha convenienza a comprare, perché elevato rispetto al valore acquisito.
L'ampiezza dello spazio di negoziazione dipende dal grado e dalla qualità della concorrenza, e quindi dalla strategia competitiva di un'azienda e dei suoi concorrenti. Lo spazio è molto ridotto per prodotti o servizi standard offerti da un gran numero di concorrenti (in questo caso, le strategie di leadership di costo portano a fissare prezzi molto vicini al prezzo medio di mercato). Al contrario, lo spazio è più ampio per prodotti o servizi differenziati, per i quali l'azienda riesce a fissare prezzi di vendita molto vicini al valore percepito dai clienti e ottenere così margini più elevati.
La scelta di fissare i prezzi in funzione dei costi di produzione o del valore percepito dal cliente deve essere coerente con la strategia competitiva dell’impresa. Il che significa, tra l’altro, tener conto delle competenze dell’impresa e di ciò che fanno i concorrenti. Infatti, basarsi sui costi di produzione non conduce necessariamente ad un prezzo concorrenziale, se l’impresa è meno efficiente dei concorrenti. Analogamente, una strategia di prezzo basata sul valore presuppone che il valore erogato e percepito dal cliente sia effettivamente maggiore di quello generato dai concorrenti, il che chiama in causa il ruolo dei concorrenti ma anche la capacità dell’impresa di generare quel valore. Il prezzo è quindi al centro di un triangolo i cui vertici sono rappresentati dai costi, dai concorrenti e dal valore percepito dal consumatore. In letteratura si commentano generalmente tre approcci al pricing: quello basato sul costo, quello basato sui prezzi dei concorrenti e quello basato sul valore erogato al cliente.
Tuttavia, è chiaro che il ruolo dei concorrenti entra sempre in gioco sia quando l’impresa decida di basarsi sui costi per fissare il prezzo, sia quando essa si basi sul valore. In entrambi i casi, infatti le strategie dei concorrenti possono rendere eccessivamente alto o basso il prezzo fissato dall’impresa.
Un altro aspetto è ancora evidente: il prezzo è parte della strategia dell’impresa ed è frutto delle sue competenze. Costi e valore percepito sono determinati dalle competenze dell’impresa e dalla strategia dell’impresa e dei concorrenti. Infine, un'azienda opera in molti business e perciò offre prodotti e servizi diversi a segmenti di mercato differenti e attua, conseguentemente, diverse strategie competitive nei confronti dei concorrenti. Quindi, in linea di principio, è disponibile uno spazio di negoziazione per ognuno di questi business.
Una strategia di prezzo parte dall'attenta analisi di questi spazi e dei tre elementi fondamentali sopra discussi: i costi dell’azienda, il valore dei beni percepito dai clienti e il ruolo dei concorrenti. Il concetto di spazio di contrattazione è immediato nella sua comprensione, poiché è chiaro che non si ha convenenza a vendere sottocosto né ad acquistare ad un prezzo considerato elevato rispetto al valore acquisito.
Per rendere espliciti tali concetti, discutiamo nove casi a cui abbiamo lavorato che mettono in evidenza il ruolo dei concorrenti, il ruolo dei costi e il valore percepito dal cliente nella determinazione dei prezzi di vendita. Si tratta di casi che si riferiscono ad aziende manifatturiere e di servizi di diversa dimensione e che perciò dimostrano come i concetti generali discussi siano flessibili e ampiamente applicabili a settori diversi. I casi dimostrano inoltre che gli stessi concetti possano mettersi in pratica con un portafoglio di strumenti operativi da scegliere in funzione delle caratteristiche dell’impresa e dell’ambiente in cui opera.
Qui sotto potete trovare il file pdf delle prime 4 pagine dell'articolo.
L'articolo completo è disponibile sul sito della rivista Controllo di Gestione. Clicca qui per accedere al sito della rivista.