di Giuseppe Marzo e Raffaella Turatto
pubblicato in TPoint, n. 3 e 4, 2003
Molti manager sembrano avere le idee abbastanza chiare su quali siano le fonti del valore di un investimento e su quale sia il ruolo del rischio. Essi identificano nei flussi di cassa direttamente prodotti da un investimento la fonte primaria del suo valore e considerano il rischio come il fattore negativo principale.
Questa convinzione trova espressione formalizzata nei sistemi di capital budgeting delle grandi imprese e in particolare nel Net Present Value (NPV). Secondo il NPV, infatti, il valore di un investimento è calcolato come il valore attuale di tutti i flussi da esso prodotti, attualizzati ad un tasso espressivo del rischio del progetto. Quindi un maggior valore dei flussi di cassa, a parità di tutto il resto, incrementa il valore dell’investimento mentre una maggiore rischiosità, traducendosi in un tasso di attualizzazione più elevato, lo riduce.
Questo orientamento, tuttavia, si basa su due equivoci di fondo, entrambi collegati al mancato riconoscimento delle opzioni reali.
Innanzitutto, in un ambiente sempre più dinamico e incerto la creazione di valore economico si fonda sulla generazione di opzioni di flessibilità. Quello che veramente conta, è la capacità dell’impresa di poter rispondere in modo flessibile alle opportunità e alle minacce che si presenteranno nel futuro. La principale fonte di valore di un investimento non sono quindi i suoi flussi di cassa ma le opzioni che consente di acquisire.
In secondo luogo, quell’orientamento non approfondisce del tutto il ruolo dell’impresa rispetto al rischio. La presenza di opzioni reali, infatti, consente di avvantaggiarsi delle situazioni favorevoli che si verificheranno nel futuro senza dover patire gli effetti di quelle sfavorevoli.
Le opzioni reali rappresentano la base per la futura competitività dell’impresa. Esse sono opportunità discrezionali di investimento e conferiscono all’impresa la facoltà, ma non l’obbligo, di effettuare un investimento o di modificarne le caratteristiche in corso d’esecuzione.
Il valore delle opzioni reali deriva dal fatto che esse rendono asimmetrico il profilo dei payoff di un investimento e mettono, così, l’impresa al riparo da eventi e situazioni negative mentre le consentono di avvantaggiarsi dell’evoluzione positiva del business.
Proprio questa caratteristica rivoluziona le modalità con cui l’impresa analizza il rapporto tra valore e rischio: un elevato rischio non implica necessariamente la riduzione del valore di un investimento se l’impresa può esercitare utilmente una o più opzioni reali.
I sistemi di capital budgeting attualmente utilizzati dalle imprese, Net Present Value (NPV) compreso, non sono tuttavia in grado di valutare adeguatamente le opzioni reali create o acquisite dall’impresa. Investimenti ad alto valore economico possono perciò essere rigettati per errori di valutazione, determinando un’erosione delle basi di futura competitività dell’impresa.
Alcuni manager si rendono conto dei limiti della loro valutazione e cercano di correre ai ripari aumentando artificiosamente i flussi di cassa previsti. Questa situazione, tuttavia, non fa altro che creare ulteriori problemi. Da un lato, infatti, essi si illudono che questo comportamento sia in grado di cogliere efficacemente il valore delle opportunità future; dall’altro, diventa impossibile creare condivisione e attenzione intorno alle opzioni reali perché esse non figurano esplicitamente nel risultato della valutazione.
Ciò di cui si ha bisogno è un metodo esplicitamente orientato alla valutazione delle opzioni reali che sia sufficientemente flessibile e potente da poter essere applicato alle diverse tipologie di opzioni che si possono presentare all’impresa e che inoltre si basi su meccanismi facilmente comprensibili a chi opera in impresa.
Questo è l’argomento dei due articoli pubblicati su TPoint.
Qui sotto potete trovare i file pdf con i due articoli completi.